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La solitudine del giocatore di videopoker

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La solitudine del giocatore di videopoker

non è spezzata dal tinnire delle monete anonime

infilate in un bicchiere cartonato di Coca Cola,

schiacciando, schiacciando, schiacciando

in balia di combinazioni programmate a casaccio,

abbacinata dagli effetti grafici e sonori,

che ricordano rumori e luci di una giornata di Natale.

 

La natura ride dell’innaturale scontro tra uomo e macchina,

uomo contro macchina, macchina contro uomo,

condannandoti all’atarassia di gesti stereotipati,

liberando endorfina ad ogni tua impronta

depositata sui tasti dell’indebitamento economico,

e tu stesso ti isoli, schiacciando e schiacciandoti,

dalle origini sociali del tuo malessere:

abdicazione dal tetto coniugale, mobilità e

disoccupazione, depressione da raggiungimento

dell’età pensionabile o cancro.

 

Resta l’immagine delle vetrate di un’oscura latteria

immersa nel cemento di un’esistenza cittadina,

d’un uomo, senza amore, in cerca di fortuna a Jacks or Better

o di un rimedio contro i malanni della noia,

d’una rovina incombente, come una corona scura

di corvi, a circondare il tuo capo incanutito,

abbandonato a naufragare, solo, nella tempesta tecnologica

autorizzata dai monopoli dello Stato.

 

     [Patroclo non deve morire, 2013]

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